Abbiamo chiesto a Rodolfo Sacchettini, presidente dell’Associazione Teatrale Pistoiese, di raccontarci come nasce il Pistoia Teatro Festival
Un invito agli spettatori a essere un po’ matti
Questo è un anno speciale per Pistoia, perché è stata riconosciuta Capitale Italiana della Cultura 2017. Pistoia, così come tante altre città italiane, ha partecipato con il suo progetto al bando indetto dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, posizionandosi al primo posto e superando di fatto città con strutture di produzione ben più grandi. La città di Pistoia è stata premiata perché il progetto che ha presentato, oltre a essere molto valido dal punto di vista artistico, è anche molto concreto, quindi realizzabile. La linea guida è stata tracciata partendo dalla ferma convinzione che quanto riportato nel dossier presentato al Ministero avremmo cercato di realizzarlo in ogni caso, anche se non avessimo vinto il bando; a costo di impiegare più tempo del previsto per cercare le risorse necessarie. L’obiettivo è sempre stato quello di concretizzare un progetto culturale che guardi avanti, al futuro. L’Associazione Teatrale Pistoiese è molto soddisfatta di questo risultato, anche se tengo a precisare che alcune attività inserite all’interno del programma sono frutto del potenziamento di progetti già esistenti, come la stagione teatrale, che è stata incrementata presentando una produzione che una città di provincia non avrebbe potuto mai permettersi. Quella di quest’anno è stata una stagione da teatro nazionale, con la presenza di alcune delle produzioni più importanti del circuito italiano. Possono piacere oppure no, sia chiaro, ma noi abbiamo cercato di scegliere le migliori per offrire a Pistoia la possibilità di vedere degli spettacoli che in altre circostanze sarebbe stato molto difficile ospitare. Accanto ai vari “potenziamenti” c’è stata poi l’invenzione di nuove attività: una di queste è proprio il Pistoia Teatro Festival. Il punto di partenza è stato il tentativo di non focalizzarci sulla creazione di un grande evento attorno alla città di Pistoia, e dunque fine a se stesso. L’ATP non è un’impresa privata, siamo un teatro pubblico interessato a un’attività che possa avere una sua rilevanza culturale e, soprattutto, che sia in grado di lasciare qualcosa agli spettatori, che non si esaurisca con la fine di Pistoia Capitale della Cultura. Il festival, a tal proposito, si è rivelato una forma molto utile allo scopo, innanzitutto perché, a differenza di una stagione teatrale, è circoscritto in un lasso di tempo estremamente limitato, e ciò comporta un’inevitabile accelerazione degli appuntamenti e una condensazione delle attività. Quando ci sono tempi ristretti in cui accadono tante cose io posso permettermi di immaginare uno spettatore che nell’arco di una stessa giornata partecipi a più iniziative e guardi più di uno spettacolo. All’interno di una normale stagione teatrale nessuno penserebbe mai di vedere nella stessa sera Vita di Galileo e Sei personaggi in cerca d’autore. Sarebbe da matti. Ecco, con il festival in un certo senso invito gli spettatori a essere un po’ matti per qualche giorno, a immergersi completamente in un viaggio che attraverso la distorsione temporale in cui si snoda permette di vedere nello stesso giorno anche fino a tre spettacoli diversi e, sopratutto, di fare una cosa utile e fondamentale come legare insieme le esperienze di fruizione. È anche attraverso una scelta simile che si capisce il percorso che sta seguendo la direzione artistica, perché il festival non è semplicemente un contenitore di appuntamenti, ma un vero e proprio progetto organico.
Una comunità di esperienze
L’Associazione Teatrale Pistoiese, insieme al Comune di Pistoia, si rivolge alla comunità, ai cittadini, per parlare loro di cultura. Proponiamo un certo tipo di visione teatrale e quindi un certo “gusto”, una certa modalità operativa. Coinvolgendo artisti diversi, dove ognuno apporta la propria arte, mi auspico che si crei una comunità di spettatori molto eterogenea, che attraverso l’intensità esperienziale vissuta in modo collettivo permetta a ciascuno di noi di aprire nuove porte, ovvero capire qualcosa di più di noi stessi, degli altri, del mondo.
Il programma, da Massini a Sieni
Il programma del Festival è composto per metà da artisti con cui abbiamo già collaborato negli anni precedenti, mentre l’altra metà è riservata agli ospiti, ai nuovi incontri. Queste sono le motivazioni che ci hanno spinto a presentare all’interno del dossier per Pistoia Capitale della cultura 2017 il formato del festival teatrale. Una novità per Pistoia, che non ha mai avuto un festival di teatro, ma che è caratterizzata da un festival di musica molto importante: il Pistoia Blues. Alle sue origini, quando ancora era in forza il mondo underground giovanile, l’esperienza del festival era davvero totalizzante; oggi forse è più diluita, ma continua a essere presente. Non abbiamo voluto proporre una versione teatrale del Pistoia Blues, però abbiamo cercato di offrire un’esperienza della stessa natura che riguardi il teatro; cosa che qui a Pistoia non è mai stata fatta, quindi un’idea completamente nuova. Questo festival è frutto di cinque anni di lavoro, durante i quali abbiamo cercato di dimostrare che non basta avere buone idee, cosa peraltro già abbastanza difficile, ma che quelle idee si realizzano solo con la concretezza e l’impegno. In questi anni infatti abbiamo iniziato l’esplorazione del teatro nelle sue forme molteplici. I teatri sono fatti di storie e percorsi diversi che si intrecciano e noi abbiamo provato ad aprire le porte ad artisti giovani e del posto, dando loro lo spazio necessario; come abbiamo fatto con la compagnia pistoiese de Gli Omini, oggi una delle realtà italiane più importanti della nuova generazione. È anche il caso di Teatro Sotterraneo, giovane compagnia fiorentina attiva qui a Pistoia, che ha un progetto da respiro europeo. Fra l’altro entrambe le compagnie lavorano sul comico, su quella risata che oscilla tra ferocia e disperazione.
Tale risultato è stato raggiunto dopo un percorso piuttosto lungo, faticoso e capillare, modificando poco alla volta il sistema produttivo e coinvolgendo compagnie giovani e registi già affermati nel panorama nazionale, come per esempio Federico Tiezzi, uno dei registi di riferimento del Piccolo Teatro di Milano, la cui Compagnia e Laboratorio Teatro della Toscana hanno sede a Pistoia. Le sue co-produzioni sono sempre con noi e di questo siamo molto fieri; dimostrazione che abbiamo ottenuto una struttura solida, una fucina molto ricca.
Un altro importante progetto è “Cantieri del Gesto” di Virgilio Sieni; il suo lavoro, tra professionisti e non, dura già da tre anni e sarà presente al festival con due azioni coreografiche dedicate al Fregio robbiano dello Spedale del Ceppo: Fregio e Cammino popolare. Il centro vivo e brulicante di Pistoia favorisce la crescita di una comunità e questo è uno dei motori che sono serviti per costruire un festival che si svolge in spazi pubblici, all’aperto, costruendo un dialogo tra i luoghi più significativi e i cittadini che ancora oggi lo abitano.
La ricerca del Genius loci
Il teatro ha bisogno di radici e di ascoltare i luoghi in cui si svolge, ha bisogno di storie, non tanto di valorizzare il territorio ma proprio di mettersi in relazione con esso, con il Genius loci, come dicevano i latini. Questo rappresenta la sua peculiarità, è qualcosa di magnetico. Proveremo dunque creare un dialogo tra il teatro, la città e i suoi luoghi specifici; metterci in ascolto dei luoghi vuol dire trarne delle suggestioni, scoprire maggiormente gli spazi in cui viviamo. Il pubblico che si avvicinerà a questo festival sarà un pubblico che ha voglia di scoprire, o di riscoprire, la città di Pistoia, illuminata da luci nuove e da nuovi punti di vista. Saper interpretare il valore dei luoghi, saper ascoltare il Genius loci, vuol dire comprenderne il carattere, capirlo intimamente. Pistoia per me ha un Genius loci molto interessante, ci sono dei luoghi che lo raccontano, e quello principale del festival è lo Spedale del Ceppo in piazza Giovanni XXIII, col suo meraviglioso Fregio dall’incredibile potenza narrativa che rappresenta le Sette Opere di Misericordia, qualcosa di estremamente concreto, comunicativo e immediato per chi lo guarda. Il Ceppo è diventato una delle aree simbolo di Pistoia Capitale nel tentativo di rivalorizzarne tutta l’area, per restituire un pezzo di città alla città. Tre progetti, nello specifico, sono fortemente connessi a questo luogo. La signorina Else (regia di Federico Tiezzi ndr), per esempio, è in scena al piccolo Teatro Anatomico; il luogo però non deve essere considerato come un semplice “set”, bensì come un elemento drammaturgico: ha lo stesso valore del testo. La scelta specifica del luogo dà la chiave critica e interpretativa del testo di Arthur Schnitzler, dimostrazione di quanto possa essere determinante la scelta dello spazio in cui rappresentare uno spettacolo.
Un andamento circolare
Il festival si aprirà e si concluderà nello stesso posto: in Piazza Giovanni XXIII, davanti al Fregio robbiano. L’evento inaugurale del festival, Il Vangelo secondo Judah, parte appunto dal Fregio, nel tentativo di mettersi in relazione con quest’opera. Non è stato facile coinvolgere Stefano Massini, in questo momento nel mondo è il drammaturgo italiano più tradotto e rappresentato, ma ha apprezzato molto la nostra proposta e l’idea di partire dal Fregio, con l’intento in un certo senso di “sfidarlo”, cioè lavorare in opposizione con un racconto in soggettiva. Massini parte dalla concezione che nei Vangeli apocrifi si ha di Giuda come l’essere più misericordioso. La questione è: Giuda, quanto è stato veramente libero di scegliere? Se tutto era già scritto, allora anche il suo destino era già deciso e dunque la sua scelta inevitabile. Questo ci pone di fronte alla grande domanda dell’uomo sul libero arbitrio. È già tutto scritto sul filo di un destino programmato oppure noi siamo liberi di scegliere, di essere gli artefici della nostra fortuna? Ne è nato un testo molto forte, avvincente, assolutamente meraviglioso, un testo teatrale scritto come fosse, appunto, un vangelo, diviso in piccoli paragrafetti e strutturato in forma di monologo. È stato interessante mescolare questo aspetto popolare del vangelo con quello più “verticale” a cui fanno capo le domande ultime dell’umanità: quanto siamo liberi? Il Vangelo secondo Judah è una mise en espace a cura di Claudia Sorace, che ne ha fatto un lavoro di luci molto raffinato. I due attori, Luigi Lo Cascio e Ugo Pagliai, che leggono il testo di Massini, ci mostreranno i due diversi caratteri di Giuda, da una parte il desiderio di ribellarsi al proprio destino, dall’altra la rassegnazione all’ineluttabilità degli eventi. Le musiche sono state composte appositamente per la serata da Enrico Fink, considerato uno dei principali interpreti della tradizione ebraica in Italia, quindi assolutamente in linea con la storia.
Chiuderà il festival Virgilio Sieni, con un lavoro sulla condivisione e sull’incontro sempre ispirato al Fregio dello Spedale del Ceppo. Verranno create coreografie dislocate in luoghi diversi della città, a cui parteciperanno cittadini e giovani danzatori, e un’azione coreografica che si chiama Bassorilievo, atta a creare una sorta di tableau vivant proprio sulla rappresentazione dei grandi temi umanitari che compongono il Fregio. La sfida sarà far capire alle persone il carattere di eccezionalità di questo festival: a Pistoia sta accadendo qualcosa di straordinario, aperto a tutti ma con un alto livello di qualità artistica. Invitare quattrocento persone a vedere uno spettacolo di due ore il 18 giugno in Piazza Giovanni XXIII non è facile, ma io sono convinto che riusciremo a creare qualcosa che sia in grado di lasciare un segno.
Una nuova tradizione teatrale
Per quanto riguarda il teatro a Pistoia c’è sempre stata una grande tradizione di ospitalità. Tante importanti compagnie sono passate di qui, ma il Genius loci di Pistoia è senza dubbio legato alla musica. Il pistoiese medio conosce la musica molto più di qualsiasi altro italiano medio. C’è proprio una sensibilità maggiore dovuta alle numerose opportunità che la città offre in tal senso. Ciò che non esiste ancora è una tradizione produttiva teatrale in senso stretto. Quello che sto cercando di fare è creare l’humus adatto, cioè le condizioni culturali ideali affinché possa nascere e crescere proprio qui a Pistoia un giovane gruppo teatrale. Gli Omini, per esempio, esistevano già come compagnia prima ancora che io arrivassi qui, e l’intenzione è stata proprio quella di valorizzare un gruppo giovane e dare loro gli strumenti per crescere, dallo spazio per provare agli aiuti tecnici. Le condizioni migliori per incentivare la formazione di una comunità teatrale solida si possono ottenere però solo creando il miglior pubblico possibile, un pubblico che sia curioso, attivo, che partecipi con costanza; e tutto questo, come un contagio, diffonde cultura.