Quando il contatto con l’altro diventa dono, si va ben oltre la misericordia, e l’incontro tra esseri umani si trasforma in un’opera d’arte necessaria. Virgilio Sieni questa volta ci parla dell’importanza della condivisione di uno spazio comune, delle nostre emozioni e fragilità, di noi. Fregio, percorso attraverso 4 azioni coreografiche in 3 luoghi interpretate da cittadini e danzatori, fa parte del progetto “Cantieri del gesto_Pistoia 2017”, nato in occasione di Pistoia Capitale Italiana della Cultura e del Pistoia Teatro Festival, che ha previsto inoltre la performance Cammino Popolare, a cui tutti i cittadini sono stati invitati a prendere parte. Sieni si lascia ispirare dalle Sette opere di Misericordia raffigurate nel cinquecentesco Fregio robbiano dello Spedale del Ceppo, ma articola le sue coreografie all’interno di altri luoghi simbolo della città, spazi con una storia riscoperti da occhi nuovi, che ci parlano attraverso il contatto e la vicinanza delle persone che li abitano, senza distinzione di genere, età, provenienza.
Il percorso inizia nella settecentesca Biblioteca Fabroniana, dove cinque donne over 60 si mettono in gioco per scoprire, e quindi mostrarci, un modo diverso di utilizzare il corpo. Con sonorità che ricordano campane tibetane, illuminate dalla luce proveniente dall’ampia vetrata della sala antistante la biblioteca, richiamano, grazie a un lenzuolo bianco accartocciato che evoca il marmo delle statue, i due gruppi scultorei di Agostino Cornacchini, La Natività e La Deposizione dalla croce, posizionati ai lati della porta che conduce alla stanza dei libri. La loro evoluzione è lenta, pacata, meditativa, in perfetta sintonia con un corpo non più giovane. Questo è un viaggio a ritroso, poiché ad attenderci oltre quella porta ci sono ragazzine e bambine in grado di plasmare in silenzio figure plastiche e dinamiche. Reiterano movimenti, creando un continuum di variazioni e un’incessante proliferazione di figure e sostegni.
Quando è ora di proseguire si abbandona la biblioteca in favore di Palazzo Fabroni, dalle origini trecentesche e ora centro di arti visive contemporanee, dove in una stanza espositiva dalla luce fioca troviamo schierate altre giovanissime ragazze che evocano la misericordia nell’abbandono e nell’incontro, il senso di una comunità che sorregge e sostiene. La danza allora diventa uno studio sulle modalità e i gradi di relazione con l’altro, le possibilità spaziali e relazionali di un corpo in un luogo che non è teatrale in senso canonico ma che diventa scena e protagonista al tempo stesso. Un corpo dapprima singolo, poi reso molteplice dalla mescolanza con gli altri, fino a trasformarsi in comunità.
L’ultima tappa di questo viaggio, che prevede lo spostamento del pubblico tra le vie della città, è sulla Terrazza Grandonio del settecentesco Palazzo De’ Rossi, illuminata principalmente dalla luce del sole che tramonta su Pistoia. Il cielo si riempie di colori e diventa la scenografia di quest’ultimo quadro in cui, per la prima volta dall’inizio della rappresentazione, alle figure femminili si affiancano presenze maschili, accompagnate nella danza da suggestive dissonanze elettroniche eseguite dal vivo dalla chitarra di Roberto Cecchetto. Si crea dunque un affresco sulle qualità del corpo, ricercato attraverso il senso della fragilità, del frammento e dell’articolazione. Le mani sono in continuo contatto con i corpi degli altri, sostengono, sfiorano, si poggiano su una spalla o dietro la schiena, sussurrano “io ci sono”, in una danza in cui le braccia si intrecciano e le gambe vengono sorrette, spostate, direzionate; le teste accompagnate nella caduta. All’interno di questo mondo perfetto nessuno cade da solo, nessuno si alza da solo. C’è sempre una mano pronta ad aiutare, a risollevare il compagno caduto.
I danzatori hanno età diverse, corpi diversi – danza persino una donna incinta – vestono abiti semplici, leggeri, di colori differenti, che in parte richiamano quelli del Fregio di Giovanni della Robbia. Si incontrano, si sfiorano, si sorreggono, si supportano, si aiutano, si respirano ed entrano in contatto tra loro. È uno scambio reciproco, chi sostiene è a sua volta sostenuto. Virgilio Sieni dipinge un itinerario in cui tramite il gesto avviene uno scambio sociale, un dono, inteso come atto di generosità che restituisce allo spazio cittadino un ampio senso di apertura e condivisione. Gli interpreti costruiscono attraverso la memoria di gesti pittorici un’architettura umana che getta le fondamenta per la creazione e il rispetto di un luogo comune; la vicinanza e la tattilità sono alla base di questa struttura coreografica che incarna i principi di una vera democrazia e instaura così una relazione tra cittadino e bene comune. Il corpo diviene il tema per abitare il mondo attraverso la consapevolezza di sé e dell’altro, del luogo in cui si vive.
Tranne che nell’ultimo quadro, ampio, a campo lungo, il pubblico si trova sempre schierato in due falangi, una di fronte all’altra, e attraverso i performer sembra quasi di guardarsi allo specchio. La sensazione che ne deriva è di profonda incompletezza, e allora non basta più partecipare a un tale rito come spettatori passivi, ma nasce il desiderio di diventare parte attiva di questo percorso, di entrare anche noi in contatto con gli altri.
Marzio Badalì
(visto il 23 giugno 2017)